Via Amerina

Via Amerina

di Giancarlo Guerrini

dall’antichità al medioevo

La via fu battuta nel 240 a.C. su tracciati locali ancora più antichi che collegavano VEIO con AMERIA attraversando tutto il territorio Falisco e toccando i suoi principali centri: NEPI, FALERII, FESCENNIUM (Corchiano), GALLESE, VASANELLO e ORTE. A Nord di Amelia riprese i più antichi collegamenti che si dirigevano verso la media e l’alta valle del Tevere lungo il confine (Tuder) con il territorio etrusco e, dopo Vettona e Perugia, verso l’Adriatico attraverso il territorio degli Umbri. Dalle culture arcaiche autoctone dell’età della pietra, del bronzo e del ferro e dall’incontro con le genti venute dal mare e dal centro Europa, a partire dal X secolo a.C. cominciarono a fiorire nella penisola italica le Civiltà Regionali legate ad un territorio più o meno circoscritto con usi, leggi, organizzazione politica, culti religiosi e lingua propria che contraddistinsero le varie popolazioni dell’Italia antica. Al centro, in un lembo di terra tra quelle occupate dagli Etruschi, Umbri, Sabini, Latini e più attorno da popolazioni di origine celtica a nord, Piceni ad est, Equi, Volsci, Sanniti, Bruzzi, Campani, Lucani, Messapi e Greci a sud, si sviluppò la cultura Falisca/Capenate con capitali politiche e religiose le città di Falerii (l’odierna Civitacastellana) situata su un pianoro vicino al sacro monte di Soratte e Capena, posta alle pendici del versante sud orientale dello stesso monte. I falisci parlavano e scrivevano una lingua simile al latino arcaico. Il loro territorio si imperniava su quell’asse viario che nel 240 divenne il primo tratto della via Amerina, così chiamata (anziché prendere il nome dal Console che l’aveva costruita, come usava in genere) perché da decine di anni forse da secoli già portava ad Ameria. Tutte queste genti a partire dal V secolo vennero interessate da un processo storico che viene definito “Romanizzazione” ovvero la conquista graduale da parte di Roma e l’ imposizione -sempre graduale- delle sue leggi, della sua organizzazione politica, religiosa e militare. Processo che si concluse con la promulgazione della lex Iulia nel 90 , alla fine della guerra sociale, con la quale venne estesa la cittadinanza romana a tutti gli abitanti della penisola ad eccezione, naturalmente, degli schiavi. In effetti la via Amerina fu strumento fondamentale in questo processo di romanizzazione a Nord di Roma. Ricordiamo sinteticamente con alcune date i fatti più significativi. 485 – cominciano le ostilità e le mire espansionistiche di Roma 396 – dopo 10 anni di assedio i Romani guidati da Furio Camillo conquistano Veio subito dopo Capena subisce la stessa sorte 390 – scende Brenno con i Galli (celti) che prendono Roma, ma non il Campidoglio dopo una prima sconfitta al lago Vadimone nei pressi di Orte e poi presso il fiume Allia 387 – Furio Camillo conquista Nepi e Sutri 358 – si crea una lega delle città etrusche contro Roma alla quale aderisce anche Falerii,ma la guerra si conclude in un nulla di fatto. Falerii evita la sottomissione con la sottoscrizione di un trattato separato 312 – iniziano le guerre etrusche (prima e seconda) che si concludono con la 309 – vittoria delle legioni romane condotte dal Console Quinto Fabio Rulliano presso il lago Vadimone e la 295 – battaglia di Sentino, nei pressi dell’attuale Sassoferrato, dove vengono sconfitti definitivamente gli alleati Celti, Umbri, Etruschi e Sanniti 293 – viene sottomessa anche Falerii 285 – (terza guerra etrusca) gli etruschi ci riprovano insieme ai Celti,Sanniti, Tarantini, Lucani e Bruzzi 282 – scontro finale al lago Vadimone con una grande vittoria dei Romani guidati dal Console Publio Valerio Dolabella che, si dice, abbia inseguito pezzi dell’esercito nemico in fuga fino a Perugia 264 – il Console Marco Fulvio Flacco celebra il trionfo su Volsinii In quegli anni si affacciano in Italia anche Pirro ed Annibale, cominciano le guerre puniche. 241 – Falerii ne approfitta e prova a ribellarsi. Quattro legioni al comando di Quinto Lutazio e Aulo Manlio Torquato debellano la rivolta e costringono gli abitanti a spostarsi di circa 6 Km ad ovest, costruendo una nuova città in pianura sulla Via Amerina che ne costituisce il cardo (Falerii Novi) All’anno successivo si fa risalire il riordino generale dell’asse viario che da Veio conduceva ad Ameria attraverso tutto il territorio Falisco (denominato via Veientana o Amerina e Annia Amerina, dal nome del console che curò l’esecuzione dei lavori) e proseguiva per Todi, Perugia, Gubbio verso l’Adriatico, su precedenti antichi tracciati. Nel 220 si traccia la via consolare Flaminia e qualche decina di anni dopo la Cassia; la via Amerina andò a confluire su entrambe: da Perugia ad Ovest verso Chiusi (sulla Cassia) e da Gubbio a Nord/Est verso Luceoli, l’attuale Cantiano.(sulla Flaminia) Con questa ristrutturazione viaria, l’inizio dell’ Amerina venne spostato più a Nord di Veio, nella valle del Baccano dove presso la mansio ad Vacanas, nei pressi dell’attuale Campagnano, si distaccava dalla Cassia ed il primo tratto della via Amerina venne inglobato nella nuova e più importante Cassia. La distanza totale da Roma ad Amelia era di 56 miglia come ci riferisce Cicerone nella famosa oratione pro Sexto Roscio Amerino. Anno 80 a.C. Tale distanza viene pressoché confermata dalla Tavola Peutingeriana che di miglia ne segna 55 e cioè 21 da Roma alla mansio ad Vacanas sulla Cassia e altre 34 fino ad Amelia sull’Amerina. Riprendiamo l’elencazione delle date e dei fatti storici più significativi per l’argomento 218 – inizia le seconda guerra punica 217 – 24 giugno secondo il calendario non riformato, 27 aprile per quello giuliano : la terribile sconfitta dei romani al lago Trasimeno ove furono uccisi 15 mila legionari compreso il Console Caio Flaminio (lo stesso che 3 anni prima aveva battuto la via Flaminia) cui successe alla guida dell’esercito Quinto Fabio Massimo, nominato dittatore, passato alla storia come cunctator (Temporeggiatore) avendo indotto Annibale ad una politica di attesa che salvò Roma dalla disfatta completa, infatti il condottiero cartaginese non prese la città e si diresse più a sud. Nel frattempo, a detta di alcune fonti, rimasugli di Romani fuggiaschi entrano di nuovo in contatto con frange dell’esercito cartaginese o dei loro alleati nei pressi di Orte nella zona della confluenza tra i fiumi Tevere e Nera, poco distante dal Lago Vadimone. 207 – Asdrubale, fratello di Annibale, scende anche egli da Nord ed il suo esercito rinforzato da Galli e Liguri , ma viene sgominato sul Metauro a sud di Rimini dai Romani coadiuvati da volontari Umbri ed Etruschi. Da notare che ormai Umbri ed Etruschi facevano fronte comune con i Romani contro gli invasori esterni, quindi erano ormai integrati nella società romana sul finire del terzo secolo e la pacificazione tra di loro era un fatto compiuto. Questi (Etruschi ed Umbri) contribuirono anche all’approntamento della spedizione di Scipione in Africa che a Zama nel 202 sconfisse definitivamente i Cartaginesi, fornendo armi, cereali, legumi, viveri di ogni genere, come ci racconta dettagliatamente Livio. Si dice che per il valore dimostrato dagli Amerini nell’esercito federato nelle varie battaglie tra cui quella di Canne persa dai Romani nel 216, Roma decise di conferire ad Ameria lo stato di foedus aequum, primo passo del riconoscimento generale della cittadinanza che, come detto, avvenne solo nel 90. Una buona parte della grande storia si sviluppò quindi lungo la via Amerina. Basti pensare alle innumerevoli battaglie combattute sulla piana del lago Vadimone di fronte alla confluenza del Rio Grande nel Tevere e di fronte al porto di Seripola, già attivo a quei tempi. Gli eserciti romani erano penetrati nel cuore della penisola verso Nord e gli invasori erano discesi verso Roma anche attraverso la Via Amerina. Più tardi anche altri invasori discenderanno per la via Amerina, anche quelli che decretarono la fine dell’Impero Romano d’occidente; altre battaglie ebbero luogo attorno al lago Vadimone sulle rive del Tevere e, dopo la discesa di Alarico re dei Visigoti tra il 408 e il 410, il territorio venne percorso ad ondate successive dagli eserciti di Odoacre alla testa degli Eruli, Teodorico degli Ostrogoti e Totila re dei Goti che nel 548 dopo Perugia devastano anche Amelia, dai Bizantini e dai Longobardi delle cui vicende parleremo un po’ più dettagliatamente in seguito; nel 965 gran parte del territorio viene occupato dalle truppe imperiali di Ottone I, poi di Ottone II e Ottone III gli Imperatori di Casa Sassonia che si recano a Roma per la loro incoronazione. Il 25 dicembre del 1001 Ottone III diretto da Ravenna a Roma tiene un Sinodo nella Cattedrale di Todi insieme al Papa (tedesco) Silvestro II. L’andirivieni degli imperatori germani dura a lungo interessando le città poste nei pressi o lungo la via Amerina, soprattutto dopo il 1054 anno in cui crolla a Narni il Ponte di Augusto sulla Flaminia. E per le città di transito non si trattava di belle cavalcate cui assistere come ad uno spettacolo tipo le rievocazioni storiche dei nostri giorni perché dovevano fornire vitto e alloggio alla corte e a tutto il seguito. Intorno all’anno 1100 scendono i Normanni ai quali si fa risalire la distruzione di Falerii Novi sulle cui rovine viene poi costruita l’Abbazia di S. Maria nel 1143 dai Benedettini Cistercensi adibita al culto fino al 1798 anno in cui il tetto crolla in seguito ad una battaglia tra Francesi e Napoletani S. Maria in Falleri è stata poi definitivamente restaurata solo in occasione del Giubileo del 2000. Nel 1131 le truppe imperiali di Lotario II saccheggiano Amelia; nel 1173 è la volta di Cristiano da Magonza luogotenente di Federico Barbarossa, poi del figlio Enrico VI che nel 1186 prende Amelia, Orte, Narni e Orvieto. Nel sec. XIII scende Federico II ed il suo esercito fu responsabile, tra l’altro, della devastazione di Amelia avvenuta intorno al 1242. Da ultimo scese l’esercito dell’’imperatore Carlo V con i Lanzichenecchi che nel 1527 operarono il famoso sacco di Roma. Per il ritorno verso nord nel 1528 scelsero la via Amerina e strinsero d’assedio Orte che si salvò per aver murato tutte le porte di accesso dopo avere fatto buona scorta di viveri; i Lanzi dirottarono su Narni che era rimasta impreparata e ne pagò le conseguenze essendo stata sottoposta ad un brutale saccheggio. Amelia fu più fortunata perché vi si diressero e soggiornarono le truppe spagnole (altra componente dell’esercito imperiale) che non si diedero a notevoli eccessi. Altri risalirono come i Saraceni che, negli anni a cavallo tra il IX e il sec. X, dopo aver devastato le basiliche di S. Pietro e S. Paolo a Roma, dalle coste laziali giunsero fino a Perugia saccheggiando tutto il territorio incontrato sul loro cammino, compreso quello di Nepi i cui abitanti comunque li contrastarono tenacemente e li sconfissero intorno all’anno 915. Proprio per il timore delle loro scorrerie Papa Leone IV intorno all’850 fece riparare le mura di Amelia e di Orte che dovevano aver subito seri danni qualche anno prima a causa di un violento terremoto. il Cristianesino e la nascita della “vecchia Europa” La via Amerina ebbe un ruolo primario anche in un altro processo fondamentale della grande storia che contribuì alla formazione della cultura occidentale ed europea: la diffusione del Cristianesimo che prese l’avvio già in età apostolica, ma grande impulso ebbe dopo l’editto di Costantino del 313. Lo testimoniano le memorie dei Martiri ed i luoghi di culto dislocati lungo la via . Santi e Martiri di ogni ceto ed estrazione sociale: militari, funzionari dello stato, presbiteri, vescovi, semplici fanciulle a cominciare dai nostri S. Tolomeo e S. Romano, S. Fermina e S. Olimpiade, S. Secondo, S. Gratiliano e S. Felicissima, S. Illuminata, S. Vittore, S. Cassiano, S. Fortunato, S. Giovenale, S. Valentino, S. Apollinare, ecc… Con la discesa dei Visigoti di Alarico e la presa di Roma nel 410 cominciarono la decadenza, i saccheggi, le devastazioni, l’abbandono delle campagne e dei luoghi aperti. Al 476 si fa risalire la caduta definitiva dell’Impero romano di occidente. Si successero Ostrogoti, Goti e Longobardi in tante vicende storiche che interessarono tutta l’Italia, ma soprattutto l’Italia centrale tenuto conto che l’attrazione fatale era rappresentata da Roma, la capitale dell’Impero anche se nel frattempo il potere imperiale si era spostato a Bisanzio. A Roma, comunque, tra una vicenda e l’altra, si stabilì un nuovo potere che andò a riempire il vuoto nato dalla dissoluzione dell’apparato dirigente dell’ impero d’occidente; quello della gerarchia ecclesiastica che si andava formando, con a capo il Papa. La predicazione dei Vangeli in tutto il mondo conosciuto avanzò attraverso le stesse strade sulle quali nei secoli precedenti avevano marciato vittoriosamente i possenti eserciti romani. Le popolazioni “barbariche”del centro e nord Europa fecero inizialmente resistenza e da ultimo i Longobardi cercarono di contrastare l’affermarsi di questo nuovo potere scendendo in armi anche in Italia. Il Papato si alleò con i cugini Bizantini (i potenti eredi dell’impero romano d’oriente) che opposero una strenua resistenza. Gli scontri si susseguirono per oltre due secoli. Nel frattempo i Longobardi rimasero conquistati dal cristianesimo e permeati da quella stessa cultura romana che volevano sopprimere, facendola propria. Anche le altre popolazioni europee vennero gradualmente interessate dalla diffusione del cristianesimo. Questo in estrema sintesi è l’altro epocale processo storico avvenuto nell’alto medioevo che vide come principali attori Longobardi, Bizantini e Papato e che, con l’intervento finale dei Franchi, portò alla nascita della “vecchia Europa”, intero continente a partire dall’800 retto da leggi sostanzialmente riferite al diritto romano e nel quale la lingua ufficiale era il latino; la religione professata era il cristianesimo che aveva soppiantato o sostituito tutti gli altri culti e faceva capo in ogni città ad un’ autorità nominata dal Papa, il Vescovo – autorità rispettata e riconosciuta anche dal potere civile. In ogni città sorsero le cattedrali, in campagna le abbazie con a capo l’Abate. Sin dagli inizi si diffuse il Monachesimo e intorno all’anno mille cominciarono a fiorire i vari ordini religiosi con i loro conventi e gli ordini militari cavallereschi con i loro castelli, come i Cavalieri di Cristo, i Templari, gli Ospedalieri, ecc. i cui eredi oggi sono principalmente rappresentati dai Cavalieri di Malta. il corridoio bizantino Tralasciando la narrazione ed i riferimenti dei fatti avvenuti nel corso delle lunghe dispute tra Longobardi e Bizantini in Italia, si era creata questa situazione: si erano formati nel VI sec. un regno longobardo che comprendeva la Tuscia e parte di Ovest e Nord Italia e al Centro/ Sud i ducati longobardi di Spoleto e di Benevento, mentre erano rimasti ai Bizantini i possedimenti del Ducato Romano e dell’Esarcato di Ravenna collegati tra loro da uno stretto lembo di terra nel quale si distendeva l’intero corso del fiume Tevere, che i Bizantini difesero strenuamente per oltre 200 anni anche attraverso la realizzazione di un sistema di torri e castelli posti nei luoghi ritenuti più idonei dal punto di vista strategico tra le principali città, nonostante i ripetuti attacchi a tenaglia da parte dei Longobardi ed il mutamento continuo delle linee di confine. Quell’insieme di città, fortificazioni e territorio posto tra i due stati longobardi venne poi denominato “Corridoio Bizantino”. L’asse portante di questo corridoio era rappresentato dalla via Amerina che congiungeva Roma a Ravenna, riprendendo dopo Luceoli il tracciato della Via Flaminia e dopo Rimini la Via Popilia, in quanto i percorsi della via Cassia e della via Flaminia erano stati occupati ed interrotti dalla conquista Longobarda. Nella parte alta un percorso alternativo al primo tratto di Popilia e all’ultimo di Flaminia, come attestato dall’Anonimo Ravennate, scendendo da Ravenna toccava le località di Forlì, Forlimpopoli, Sarsina, Urbino, Scheggia e da li si ricongiungeva comunque a Gubbio alla vecchia via Amerina. Il fatto più importante che avvenne in quel periodo, legato alle vicende del Corridoio Bizantino è quello che avvenne nel 742 a Terni nella Basilica di San Valentino, ove ebbe luogo la donazione da parte del Re dei longobardi Liutprando a Papa Zaccaria di un gruppo di città in precedenza strappate ai Bizantini, fatto che se non fosse avvenuto il famoso Corridoio sarebbe stato interrotto e probabilmente la storia avrebbe preso un altro corso. A questa donazione si può far risalire de factu la costituzione del primo nucleo dello Stato della Chiesa ed il primo riconoscimento effettivo del potere temporale del Papato. Le città interessate erano Ameria, Orte, Bomarzo, Gallese e Blera praticamente una buona parte dei territori attraversati dalla via Amerina. Qualche anno prima, nel 728, erano stati donati a Papa Gregorio II anche anche alcuni territori e castelli del Ducato Romano tra i quali, il più importante, quello di Sutri. Successivamente avvennero ulteriori donazioni di territori situati nell’Italia centrale ove si rafforzò il potere diretto della Chiesa, anche se gli storici sono più o meno concordi nel far risalire la nascita vera e propria del suo riconoscimento alla Promissio Carisiaca del 754, l’atto con il quale Pipino il Breve prometteva a Papa Stefano II la donazione delle terre che avrebbe riconquistato con le armi ai Longobardi; per contropartita il papa consacrò solennemente la dinastia Carolingia e concesse al re il titolo di Patricius Romanorum (protettore del popolo romano). Il riconoscimento effettivo del potere papale fu sancito definitivamente nel natale dell’anno 800 quando il Re Carlo Magno, dei Franchi vincitori sui Longobardi, inginocchiato sulla porta della Basilica di San Pietro accettò di farsi incoronare Imperatore del Sacro Romano Impero da Papa Leone III confermando sotto la giurisdizione diretta della Chiesa buona parte delle terre, castelli e città della Tuscia romana, dei ducati di Spoleto e di Benevento, di Ravenna e della Pentapoli (più o meno i territori delle attuali regioni di Lazio, Umbria, Marche e Romagna). E da allora la Chiesa Cattolica Romana ha continuato a rivestire un ruolo di primo livello in tutte le vicende politiche di Europa e del mondo intero, nonostante la soppressione dello Stato Pontificio in seguito alla guerra di occupazione delle truppe piemontesi che culminò con la presa di Roma il 20 settembre 1870 ed il successivo decreto di annessione al Regno d’Italia da parte di Vittorio Emanuele II. E proprio gli avvenimenti mediatici di questi ultimi tempi, a partire dal dopo guerra con gli avvicendamenti dei Papi tutti di “grande statura” sul soglio pontificio, ci confermano quanto ancora forte sia questo potere e l’attrazione che Roma cristiana esercita su ogni angolo del globo terrestre. dal medioevo all’età moderna Dopo la fine dei regni longobardi, furono ripristinati i collegamenti principali della vie Cassia e Flaminia e l’Amerina rimase la principale via di comunicazione per la media valle del Tevere, ossia verso Perugia, che a Nord di Todi prese il nome di Via Tiberina proprio perché costeggiava la riva sinistra del Tevere. Tra Amelia e Todi la via di fondovalle lungo il torrente Arnata venne gradualmente dismessa per attestarsi sulle direttrici che raccordavano i paesi fortificati ed i castelli sorti sui crinali a presidio del vecchio Corridoio Bizantino. Si sviluppò nel medio evo sulla via Amerina, al pari delle altre strade che venivano dal Nord, il Pellegrinaggio verso la Città Santa, specialmente dopo la promulgazione dei Giubilei a partire da quello indetto da Papa Bonifacio VIII nel 1300. Il passaggio dei pellegrini è attestato da numerosi toponimi riferiti ad ostelli,ospedali ed osterie nonché da numerose chiese, eremi e conventi, che oggi ci aiutano a ricostruire i tratti del tracciato originario andato in disuso. Fino a poco prima della seconda guerra mondiale quando ancora non c’erano le macchine e si doveva andare a piedi, l’itinerario usato negli spostamenti tra vari paesi ( ad esempio in occasione delle fiere) era in genere quello della vecchia via Amerina perché era strada costruita sin dall’antichità per chi doveva arrivare prima camminando di meno. Il tracciato Dobbiamo distinguerlo in due parti: la prima è quella che parte dalla mansio ad Vacanas e giunge ad Ameria: la seconda è quella che parte da Ameria e prosegue per Todi, Perugia, Gubbio, Luceoli, ecc.La prima era sicuramente basolata, la seconda probabilmente no. Quindi la prima parte è sicuramente individuabile per quasi tutto il suo tracciato, perché vari tratti di basolato emergono perfettamente conservati, utilizzati talvolta ancora come strade interpoderali. Rilevamenti e scavi sono stati effettuati dall’Istituto Britannico fino a Puntone del Ponte (insediamento falisco situato tra Corchiano e Gallese/Vasanello) nel periodo a cavallo tra sec. XIX e sec. XX. Dal 1973 al 1985 l’archeologo T. Potter del B.M. ha condotto importantissime ricerche nei dintorni di Nepi, sull’ antico abitato di Narce che sorgeva lungo l’Amerina ed è giunto alla scoperta della domusculta di Capracorum, tipo di insediamento rurale fortificato del periodo alto medievale tra villa rustica (ex periodo imperiale) e castello vero e proprio. Nel 1983 sono cominciati gli scavi in loc. San Lorenzo, Tre Ponti e Cavo degli Zucchi da parte del Gruppo Archeologico Romano sotto la direzione della D.ssa Laura Caretta, a sud di Falerii Novi che hanno rivelato, ai margini del basolato perfettamente conservato e poggiato su precedenti strade ricavate nel tufo, la necropoli della città con sepolture databili dal II sec. A.C. al IV dell’era volgare. Alcune di queste tombe sono state rinvenute miracolosamente intatte, nonostante la frequentazione bimillenaria del sito, che ha visto il passaggio di orde di invasori da ultimo i Normanni che hanno distrutto nel 1100 Falerii Novi. E poi tombaroli a non finire. Da Puntone del Ponte la strada giungeva a Vasanello passando ad Ovest di Gallese nei pressi della stazione ferroviaria di Montilapi e da li scendeva verso le attuali Terme di Orte, costeggiava il lago Vadimone e attraversava il Tevere (vadus bonus, probabile etimologia del toponimo Vadimone) nei pressi del porto di Seripola, poi proseguiva lungo il corso del Rio Grande con un paio di attraversamenti. Si stabiliva sulla riva sinistra di fronte alle solfatare, proseguiva in direzione Totano fino alle pendici di Monte Nero (ove attualmente c’è la grotta della Madonna di Lourdes) e poi verso Amelia sull’attuale tracciato della Provinciale ai lati della quale emergono inconfondibili testimonianze del suo passaggio, peraltro documentato fino al sec. XVIII dalle relazioni delle visite periodiche dei maggiorenti della Città di Amelia ai confini del Comune, sulle quali viene riportato che ” partendo da Porta Busolina prendevano la strada romana fino a Montenero, ecc:” La distanza da Roma alla mansio ad Vacanas (attuale Valle del Baccano) era di 21 miglia. Da Vacanas ad Amelia altre 34, cioè 51 km mentre la linea virtuale diretta misurerebbe solo 48 Km.! Del ponte sul Tevere nei pressi di Seripola non è rimasta traccia, mentre sono evidenti i resti del cosiddetto Ponte di Augusto, situato circa 1 Km più verso Orte. Comunque l’abitato di Seripola dovrebbe essere stato abbandonato intorno al VII secolo d.C. I due ponti potevano coesistere, oppure un nuovo ponte è stato costruito nel tempo più a Sud per ragioni di opportunità magari dettate dai movimenti del lago vulcanico di Vadimone o dagli allagamenti della valle del Tevere prodotti dalle ricorrenti mutazioni climatiche. Per il momento non ci è dato di sapere, anche perché studi approfonditi sui resti del cosiddetto Ponte di Augusto, salvo errori, non esistono. E’ certo che da Seripola partiva anche un’altra strada di crinale che raggiungeva la strategica collina di Cimacolle per poi raggiungere località Campo Antico e da li Totano. Cimacolle oltre ad essere collegato con una strada diretta al porto di Seripola, guarda diretto anche al cosiddetto Ponte di Augusto. C’è da approfondire. Il Ponte di Augusto, detto anche Pontaccio è crollato tra il 1514 e il 1524, si dice per le piene del Tevere. Alcune fonti riferiscono che sia stato demolito per ragioni strategiche legate alla difesa di Bracciano nel tentativo di impedire l’appoggio alle soldatesche assedianti di compagnie di ventura di stanza in Umbria.. Sicuramente il traffico sulla via Amerina da quel momento è molto diminuito e da quel momento, fino alla costruzione di un nuovo ponte, l’attraversamento del Tevere avverrà con le barche o barconi. Abbiamo due toponimi “Barca”: uno nei pressi del l’antico porto di Seripola e l’altro, la Barca di San Francesco, in corrispondenza della strada che scendeva da Castel Bagnolo. In alcune carte del sei/settecento la via Amerina è segnata lì da dove proseguiva verso Narni e Todi senza passare per Amelia, ricalcando praticamente il tracciato della attuale Tiberina, con un passo di Amelia tuttora esistente nei pressi di Sangemini. A proposito di San Francesco almeno un volta deve essere transitato sulla via Amerina di ritorno da Roma nel 1209, dopo l’approvazione orale della Regola da parte di Innocenzo III. I biografi raccontano della sua sosta ad Orte per una quindicina di giorni e del passaggio attraverso una zona ricca di sorgenti d’acqua ferruginosa e di fumarole di tipo solfureo, dunque le attuali terme, l’acqua acetosa di San Lorenzo, le solfatare lungo il Rio Grande… C’è chi dice che abbia sostato presso la Barca di San Francesco nella chiesa di s.Nicolao, chi a s. Masseo, chi a s. Lorenzo. C’è veramente da approfondire, come sulla funzione delle innumerevoli torri e fortificazioni situate nel territorio ortano, sicuramente legate al transito della via Amerina e dei suoi diverticoli. Il secondo tratto per Todi, Perugia, Gubbio, ecc., partiva da Amelia lungo la riva sinistra del Rio Grande che attraversava in loc. Le Rote; proseguiva poi lungo la sponda destra fino al ponte di San Leonardo (oltre i Cappuccini, per intenderci) ove lo attraversava di nuovo. Proseguiva lungo la vallata collegando tutta una serie di castelli e piccoli paesi (che in realtà sono nati …dopo, sulla via Amerina): Sambucetole, Lacuscello, Collicello, Canale, Frattuccia, Castel dell’Aquila, Forte Cesare fino alla cosiddetta Mestaiola di Sismano nelle cui vicinanze sorgeva il paese di Civitelle. Da qui si tuffava nella valle del fiume Arnata che costeggiava e attraversava in più punti (o i suoi affluenti) su ponti tuttora esistenti fino a raggiungere Todi ove entrava da Porta Amerina a formare un decumanus maximus (come dice lo storico e archeologo Giovanni Becatti) ma secondo me è forse più il cardo maximus; dopo il foro usciva a Nord, traversava il torrente Rio e si dirigeva verso Deruta, Vettona, ecc. sulla riva sinistra del Tevere. Percorso tra Todi e Perugia sostanzialmente ricalcato dalla moderna Via Tiberina. E’ chiaro che nel medioevo, con la nascita dei castelli, venne gradualmente abbandonato il percorso di fondovalle diventato malsicuro per preferire un nuovo tracciato di crinale, parallelo a quello più antico, che unisce Avigliano,Dunarobba, Sismano, Pesciano, Montenero, Vasciano oppure sul lato opposto S. Restituta, Toscolano, Melezzole, Morre, Collelungo, Izzalini, Fiore, ecc. oppure l’altro intermedio che unisce Castel dell’Aquila a Camerata e Torre Gentile passando per Torre Olivola che rappresenta la più imponente e strategica fortificazione posta a vigilare sulla valle dell’Arnata tra Castel dell’Aquila e Todi. la ricostruzione del tracciato antico Per la ricostruzione del tracciato antico, i vari diverticoli e successive varianti che in linea di massima è stato tutto individuato, almeno da Roma a Perugia, ci si è avvalsi di molteplici elementi e riferimenti che opportunamente relazionati tra loro e verificati con una attenta ricognizione sul territorio hanno dato alla fine il risultato atteso. – tratti di basolato – emergenze architettoniche ed archeologiche (ponti, resti di torri e fortificazioni per la difesa, le segnalazioni e gli avvistamenti, ecc.) – tombe e sepolture di ogni tipo, monumenti funebri, ecc. che solitamente in epoca romana venivano realizzati lungo le strade principali a partire proprio dalle porte delle città verso l’esterno a significare la continuità della città dei vivi con la città dei morti (vedi la necropoli di Amelia che si snoda per buona parte lungo la via Amerina, l’attuale via Primo Maggio in fondo alla quale si erge il Trullo che non è altro che ciò che rimane di un monumento funebre a forma di piramide ben documentato nelle carte del sei/settecento, così dicasi dei resti murari del Pirincio). A proposito i recenti scavi della necropoli di Amelia a circa 200 metri dalla porta Romana hanno restituito pregevolissimi reperti di primo livello di origine e fattura falisca risalenti al IV e III sec. a.C. attualmente esposti presso il museo di Amelia nella mostra intitolata “La seduzione del lusso”. Questi ritrovamenti ci rafforzano il dubbio nel dare la giusta risposta al quesito: Amelia preromana, città umbra o falisca? – chiese, ospedali e ricoveri per i pellegrini ad indicare i quali talvolta è rimasto solo il toponimo di una località sulla carta geografica (la più usata è quella dell’I.G.M, sulla quale noi abbiamo indicato a grandi linee il possibile tracciato ricostruito) . Spesso chiese, ospedali e ricoveri sono stati inglobati in fabbricati rurali, già da diversi secoli. Occorre individuarli attraverso la ricognizione sul territorio, ma soprattutto attraverso le ricerche d’archivio. Utilissimi sono i resoconti del pagamento delle decime, gli atti notarili relativi alle donazioni o ai contratti di compravendita. I resoconti delle visite pastorali dei Vescovi alle parrocchie e alle chiese di campagna. Per quanto riguarda l’amerino utilissimo è il resoconto della visita effettuata da Mons. Camajani, nella seconda metà del 500 che muove da Todi verso Amelia per selezionare le chiese da ristrutturare o da demolire. Nei pressi di Castel dell’Aquila, la prima che incontra lungo la via è quella di S. Agata. Chiesa che è stata individuata circa 5 anni fa inglobata in un fabbricato rurale e restaurata dagli attuali proprietari, la famiglia Venturi. – Toponimi come ospedale, ospedaletto, osteria, osteriaccia, rote, reda, passo, ponte, via pubblica, torre, ecc. fornace (spesso realizzata lungo un’antica strada per usare i basoli divelti per ottenerne ottima calce, come è il caso di quella che ha funzionato fino agli inizi del secolo scorso sulla via Amerina tra Amelia e Orte nei pressi della casa cantoniera ed ha fatto sparire diverse miglia di strada basolata) sono tutti elementi di primaria importanza per la ns. ricostruzione. Altre fonti importanti sono naturalmente gli storici locali e gli archeologi professionisti o dilettanti dei secoli scorsi che pur tra tante fantasticherie e retoriche allocuzioni, spesso ci forniscono indicazioni, tracce e correlazioni ormai difficilmente leggibili sul terreno stravolto dalle invasive attività antropiche degli ultimi decenni. —-ooooOoooo—- I padri Somaschi ad Amelia FASCICOLO 113 LUGLIO-DICEMBRE 1954

RIVISTA DELL’ORDINE DEI   PADRI   SOMASCHI

VOL.  XXVII  –  1954

CURIA GENERALIZIA DEI PADRI SOMASCHI ROMA

STORIA DELL’ORDINE Cenni storici sul Collegio S. Michele Arcangelo dei PP. Somaschi in Amelia

FONDAZIONE Già prima della venuta dei Somaschi in Amelia, sembra che nella città ci sia stata una specie di “studium”, come in molte altre città italiane del ‘400 e del ‘500. Leggiamo infatti ne documenti della città che ai primi di luglio del 1478 fuggirono dalla città propter pestem il cancelliere e il professore di grammatica. La venuta dei Somaschi in Amelia risale al 1601, voluta da Mons. Antonio Maria Graziavi, Vescovo di Amelia, che li chiamò ad aprire un istituto nella sua città, loro concedendo la chiesa di S. Michele Arcangelo “con tutti i diritti e pertinenze”. Nel diploma del 3 sett. 1601 egli dice dei Somaschi : “Comitate, sanctitate, pru­dentia, litteris, disciplina, aliisque probitatis ac virtutum meritis, quibus cum animos exornant altissimos, ac in omni congestu elu­cent, tum fide dignorum testimoniorum, tum experimento per nos facto dum Venetiis legationis Apostolicae munere fungeremur”. I Somaschi infatti prima del 1601 governavano in Venezia l’Ospe­dale dei SS. Giovanni e Paolo, il Seminario Patriarcale e il Semina­rio Ducale. Il Consiglio Generale della Città approvò il pensiero del Vescovo ed accettò i Somaschi con decreto 20 sett. 1601. La stabilizzazione delle scuole pubbliche in Amelia era un problema che si agitava nella città già da qualche decennio, e solo con la venuta dei Somaschi se ne trovò la soluzione. I Gesuiti le avevano tenute fino al 1584 ma la dovettero abbandonare “per mancanza di assistenza”. Furono allora chiamati i Padri della Dottrina Cristiana, ma anche questi di lì a non molti anni si videro costretti dai medesimi motivi ad abbandonarle. Ma il primo e principale merito dell’introduzione (lei Somaschi in Amelia è dovuto alla nobile famiglia Amerina dei Petrignani, che anche in seguito l’u molto benemerita del nostro Ordine. Già nel 1469 Angelo Petrignani aveva sborsato 225 ducati d’oro per l’ac­quisto del pittoresco sito di S. Giovanni Battista in favore dei Francescani che vi costruirono il convento, ora abbandonato, men­tre suo padre Giovanni fungeva da Procuratore per l’erezione della fabbrica. Bartolomeo Petrignani, padre del nostro religioso P. Ferdinando Petrignani, Signore di Castro Attiliano, fu il primo che pregò il S. Padre di mandare i Somaschi nella città di Amelia per l’istruzione della gioventù: “scimus in his quae in magistris requirenda sunt, mentem nempe ingeniosam, vitam honestani, hu­milem scientiam et docendi peritiam non deesse”. Nel medesimo tempo l’Archimandrita di Sicilia ne faceva proposta ai Somaschi, offrendo un’entrata di 500 scudi con l’obbligo “di insegnar grammatica a tutti i putti di quella città”. La proposta fu accettata dal Cap. Gen. dei PP. Somaschi, tanto più dopo l’assenso favorevole del Vescovo; però l’assegnamento di 500 scudi fu ridotto a soli 150 pagati dalla città, 200 dalla casa Petrignani, e il resto da altri privati. Il 3 dic. 1601 il P. Gio Fabreschi, Proc. Gen. per incarico avuto dal Cap. Gen., si portò in Amelia a prender possesso precario dello stabile e chiesa di S. Arcangelo a nome della Congregazione; e ne prese poi possesso canonico definitivo, dopo la Bolla Pontifi­cia, il 5 nov. 1602, dichiarandola casa dell’ordine e lasciandovi per Rettore il P. Gaspare Bonetti. Nei primi tempi però la casa di A­melia, nei rapporti giuridici entro l’Ordine, fu considerata come una casa succursale della nostra casa professa di S. Biagio in Montecitorio di Roma, tanto che per alcuni anni (dal 1603) qui si tenne il noviziato, che avrebbe dovuto risiedere in quella casa pro­fessa. Poi venne dichiarata a casa formata, e il Superiore assunse il titolo di Preposito. La Conferma definitiva da parte della S. Se­de si ebbe il 13-2-1602. Fu così fondato nel 1601 il collegio, o meglio luogo di istru­zione gratuito elementare per i fanciulli della città, qualche cosa di simile alla primitiva fondazione del Collegio Gallio di Como; e Flavio Boccarini, canonico della Cattedrale di Amelia e poi Segre­tario di Gregorio XIII con sua disposizione testamentaria, rogata da Filippo Ferratini, nel 1615 lasciò 500 scudi annui, in perpetuo, perchè i Somaschi mantenessero nel loro Collegio 12 giovani cit­tadini amerinesi, bisognosi di questo aiuto ed insegnassero loro per almeno 4 anni la grammatica e le belle lettere. L’accettazione di ogni singolo alunno era nominatim riservata all’approvazione del Capitolo Collegiale dei Somaschi e dei Superiori Maggiori. Va ricordata ancora, fra le altre beneficenze compiute dai nostri religiosi, la donazione fatta al Collegio di Amelia dal P.Lorenzo Longo, il quale prima di emettere la professione in questa casa nel 1631 nel suo testamento lasciò un cospicuo legato : “Io D. Lorenzo Longo C. R. Somasco avanti la professione da me fatta in Amelia l’anno 1631 allì 1 di gennaio lasciai alli M R. Padri della Congregazione di Somasca alcuni beni adventitii ed indicati per sententia iuridica a me, ma noti ancora pacificamente posseduti, circa il valore di 2200 lire e più con tutte le spese che devono pa­garsi gli onerandi alla casa di S. Angelo in Amelia, e poi un legato di 15 scudi, over ducati imperiali in vita da esser pagati dai miei fratelli alla casa o collegio dove pro tempore mi fosse assegnata la stanza dai Superiori, con questa contitione che detti danari fossero impiegati in cose appartenenti allo studio dei Padri o Chierici di quella casa, overo nella stampa di libri di essi Padri, e che in caso di stampar libri dettì miei fratelli Ottavio e Pietro Maria Longhi fossero obbligati a sborsare 30 ducati l’anno, eccet­tuati per gli anni nei quali per carestie o per guerre o per altri gravi accidenti da giudicarsi da persone prudenti non potesser comodamente detti danari pagarsi…”. Da uno strumento rogato dal notaio Burlaschino in data 20 sett. 1601 appare che la casa Petrignani fu quella che istituì ed ornò la chiesa di S. Angelo, che prima era appartenuta ai Gesuiti e ai Dottrinari. FUNZIONAMENTO Introdotti così i Somaschi in Amelia, incominciarono a svol­gere la, loro missione in favore della gioventù, officiando la chiesa, e si guadagnarono tanto la stima del Vescovo, che questi quasi subito dopo (e poi per sempre in seguito) affidò loro la cura spi­rituale dei monasteri della città. La casa era governata da un Rettore detto Preposito, assisti­to da un Vice Rettore, più due o tre Padri adibiti all’insegnamento. L’assistenza ai ragazzi e la manutenzione della casa era affidata a due o tre fratelli laici. Le scuole comprendevano la grammatica, l’umanità e la retorica. L’inizio dell’anno scolastico, era segnato da una solenne cerimonia, come si soleva fare in tutti gli altri nostri collegi nel sec. XVII, XVIII, XIX, in cui il maestro di retorica pronunciava, la maggior parte delle volte in latino, la “Orazione degli Studi”, alla presenza di moltissimi illustri invitati, e nel cor­so dell’anno scolastico si tenevano le solenni Accademie Lettera­rie dagli alunni, una nel giorno di S. Michele Arcangelo, l’altra nel giorno di S. Nicolò “con l’intervento sempre a dette funtioni del Sign. Governatore, Magistrato, Vic. Generale, Capitolo, onde riu­scì di molto decoro ed applauso. Anco l’anno passato in detto gior­no si fecero le medesime funtioni con l’intervento delli medesimi aggiuntoci mons. Vescovo che in quest’anno è assente dalla città”. Così è registrato nel libro degli Atti per la prima volta la celebra­zione dell’Accademia nell’anno 1696. La festa accademica costi­tuiva la celebrazione annuale promossa dall’accademia interna de­gli alunni, che non sappiano quale nome avesse nel Collegio di Amelia, e che era presieduta, con l’assistenza del Padre maestro di retorica, da un alunno, detto “Principe dell’Accademia”. Il primo che troviamo ricordato fu il convittore Giacinto Mantica, che poi entrò nell’Ordine Somasco. La chiesa nel 1650 aveva cinque cappelle “longa palmi sessan­tacinque, larga palmi quaranta, ma non è ridotta a perfettione, e per fare la tribuna et crociera vi bisognano due mila scudi circa”. Nel 1649 era stata insignita delle Reliquie di S. Felice mar­tire, donate dal Sign. Filippo Orsini, congiunto del P. Ludovico Orsini, allora Preposito di Amelia, e la cui ricognizione fu fatta il 31 maggio 1649 con l’intervento del Vic. Generale e del Sign. Benedetto Fiammetta notaio episcopale. L’abitazione che era stata consegnata ai Somaschi nel 1601 non era certamente in grado di alloggiare i dieci alunni da mantenersi secondo il legato Boccarini : onde dovendosi per necessità ampliare si sospese per 4 anni l’ammissione di essi e le rendite del legato furono impiegate per le spese della fabbrica. In segui­to i Somaschi aumentarono il numero dei convittori, aprendo un convitto anche per alunni fuori città e aggiunsero a loro spese una nuova fabbrica, impiegandovi parecchie migliaia di scudi. I maggiori ingrandimenti e abbellimenti del Collegio si ebbero sotto i rettorati del P. Gregorio d’Aste e del P. Raimondo Studiosi. SOPPRESSIONI (1798 e 1810) Il Collegio di S. Angelo prosperò fino all’epoca delle soppres­sioni napoleoniche. La prima ebbe luogo il 4 ott. 1798, quando, co­stituitasi la Repubblica Romana, tutti i Padri residenti in Amelia furono costretti a partire, secondo il tenore dell’Editto. Difatti nessuno per caso allora era della circoscrizione romana, e perciò tutti erano giudicati come esteri, e dovettero portarsi alla patria loro. Partiti i Somaschi, la Municipalità democratica di Amelia nominò amministratore del Collegio e della casa il Sac. Vincenzo Urbani di Sociano. Il P. Preposito Oltremari, fattagli la consegna di tutta la roba e mobili, si ritirò in casa Studiosi, famiglia affezionatissima e benemerita dei Somaschi, per continuare il suo ufficio di Confessore delle Monache di S. Giovanni; e partì poi per Ferrara sua patria con suo fratello P. Luigi il 19 febbraio 1799. Gli effetti del governo della Municipalità democratica furono di ridurre da 13 a 7 i convittori mantenuti gratuitamente col provento dei legati (di cµi si hanno anche i nomi, come anche quel­lo del loro istitutore). Ben presto il collegio si dovette chiudere “per mancanza di sussistenza, nemmeno trascorso un anno, prima del­l’inizio di sett. 1799”. Dalla suddetta Municipalità democratica fu asportato e venduto (e pure non avevano soldi a sufficienza!) il bello e ricco ostensorio d’argento, due calici, il turibolo, la navicella, il secchiello con l’aspersorio, tutti d’argento. Cessato il governo democratico, fu istituita per il regolamen­to del Collegio una deputazione ecclesiastica composta di alcuni canonici, i quali elessero ad amministratore di S. Angelo il Sac. Antonio Trebellini, che vi durò dal 22 ott. al 19 maggio 1801. Restauratovi il governo Pontificio, il Vescovo di Amelia optò per il ritorno dei Somaschi, scrivendone a Roma all’apposito dicaste­ro; e la S. Congregrazione Romana deputata per gli affari dei Re­golari, rispose il 16 maggio 1801 a Mons. Vescovo in questi termini: “Questi Em. miei Sigu. Cardinali della Sacra Congregazione de­putata sopra gli affari dei Luoghi Pii, considerata la relazione tra­smessa da V. S. ed il consenso ancora di codesti pubblici rappre­sentanti, sono venuti nella determinazione che li Padri della Con­gregazione Somasca debbano essere reintegrati al possesso di co­desto loro Collegio di S. Angelo e di tutti i beni al medesimo spet­tanti con quelli diritti ed obbligazioni annessi e concessi nel modo e forma che dagli anzidetti Padri si godevano prima delle già note luttuose vicende. Firmato Card. Carafa”. Il Segretario della S. Con­gregazione consegnò copia della lettera al nostro Proc. Gen. e questi al P. Visitatore della Prov. Romana Girolamo Pongelli, il quale secondo i poteri avuti dal P. Gen. Evasio Natta della Pro­vincia Piemontese, si portò immediatamente in Amelia. Vi arrivò il 20 maggio 1801, e il giorno seguente dal Vescovo al quale consegnata la lettera della S. Congregazione “si è avuto nuovamente il possesso di questo Collegio, non con altra formalità che con la consegna dei libri della economia fatta dal Sign. D. An­tonio Trebellini, il quale per lo spazio di circa 8 mesi a nome della Congregazione Ecclesiastica, deputata da Mons. Vescovo, ha am­ministrato le rendite di questo Collegio. Esaminati diligentemente i libri d’uscita e d’introito, si è trovato per quanto mi sembra, tut­to a dovere, rimanendo creditore il sopradetto Ministro di… Non ho creduto espediente far parola dell’anteriore amministrazione in tempo della Repubblica, della Reggenza imperiale, e del Governo provvisorio, per la ragione che si attende dall’oracolo SS. la deci­sione se chi allora ne ha percepito le rendite ed ha soggiaciuto ai pesi per sovvenire ai bisogni pubblici, dovrà o no rindennizzare il Collegio. Apparterrà dunque al nuovo Superiore vedere come re­golarsi nella circostanza, Non permettendole al momento la man­canza dei mezzi, ritrovandosi al momento il Collegio senza danari, e con poca grazia, s’ingiunge al futuro Superiore che si dia tutta la premura onde soddisfare al più presto alle seguenti obbligazio­ni: 1) rindennizzare il Collegio di Camerino di tanti spesi in viag­gio per ricuperare questo Collegio di S. Angelo e oltre; ecc.”. Questo troviamo scritto nel libro degli Atti per mano dello stesso P. Pongelli. Appena riferito a Roma al P. Proc. Gen. il felice esito delle trattative svolte ad Amelia questi come superiore Maggiore nella Provincia Romana, nominò il Superiore nella per­sona del P. Filippo Rossi, come Vice Rettore il P. Girolamo Spi­nola, ambedue della Provincia di Genova. Giunsero ad Amelia il 18 giugno 1801, dove trovarono il fratello Giuseppe della Mattea, nostro laico professo, che mai aveva abbandonato quella casa e che tosto riassunse l’abito religioso, e 2 soli convittori. Tosto i Soma­schi ripresero la loro antica attività mentre vi venivano deputati altri religiosi a formare la famiglia, con la fortuna di celebrare con gran concorso di popolo e con l’intervento di Mons. Vescovo nel seguente mese di luglio la festa di S. Girolamo, preceduta da divo­ta novena. Nel successivo novembre si inaugurò l’anno scolastico, riprendendovi la tradizione delle scuole con tutti i corsi come prima della soppressione; e fu pure riaperto il convitto. La vita del Collegio procedette tranquilla per alcuni anni sotto il governo saggio e prudente del P. Filippo Rossi. futuro Generale o compagno di deportazione e di prigionia di Pio VII in Francia, edificato degli esempi virtuosi del P. Girolamo Spinola. Solo nel febbraio del 1806 venne occupato interamente dalle truppe francesi, tranne la chiesa. Una innovazione nel regolamento scolastico venne apportata nel 1807 dal Preposito P. Gaetano Oltremari, che abolì l’abitudi­ne introdotta al tempo della soppressione di mandare gli alunni in vacanza durante l’anno scolastico, rimettendo le sole vacanze autunnali dal 6 sett. al 4 novembre. Altra innovazione fu costretto ad adottare il P. Filippo Rossi Prep. Gen. (visita canonica del 1nov. 1807), cioè di ridurre il numero dei Convittori a carico del legato Boccarini, valendosi della facoltà che lo stesso Flavio Bocca­rini nel suo testamento attribuiva al Prep. Gen., da 9 a 7, atteso che “nonostante la più grande economia usata negli ultimi anni, il Collegio era venuto a trovarsi indebitato troppo fortemente”. Ed eccoci al fatale maggio 1810: soppressione generale napoleo­nica. La legge viene proclamata ad Amelia il 17 maggio, e i rappre­sentanti del governo si portarono in Collegio il giorno seguente per far l’inventario di tutte le mobilie e “prender lo stato attuale del Collegio per venir quindi al possesso, dovendo noi esser sog­getti alla legge di soppressione generale”. Però i Religiosi ebbero licenza di continuare, come stipendiati, a far funzionare il Colle­gio fino al termine dell’anno scolastico, come preti secolari, di cui dovettero tosto assumere l’abito. Per quanto legalmente sciolta, la comunità religiosa nel suo intimo continuò le pratiche regolari come prima fino all’8 nov. Il 20 luglio i Padri celebrarono con grande solennità la festa “del nostro Santo” per l’ultima volta; continuarono a tenere i Capitoli Collegiali, a leggere le Bolle Pon­tificie e le Costituzioni. Assieme alla legge di soppressione andò in vigore la legge di espulsione per i cittadini e religiosi stranieri, per cui i fratelli lai­ci, non essendo considerati necessari per il funzionamento delle scuole, furono costretti tosto a rimpatriare; prima dovette partire il 19 giugno il fr. Felice Rossi napoletano “non impiegato alla pubblica educazione, nonostante che fosse fratello impiegato al servizio di questo Collegio in qualità di cuoco”; e il povero fr. Giu­seppe della Mattea l’11 luglio fu con decreto del Governo confinato nel reclusorio di Spoleto “come esente dalla legge di espulsione per la sua età, locale destinato dal governo a tal oggetto per gli esteri specialmente sopra l’età di anni 70”. Il fatto non ha bisogno di commenti. I SOMASCHI RITORNANO Cessata finalmente la bufera napoleonica, era intanto rien­trato dall’esiglio di Francia l’ex Padre generale Filippo Rossi, già benemerito Rettore di Amelia; ai primi di ottobre del 1815 venite mandato ad Amelia dal Vicario generale in capo P. Ottavio Pal­trinieri, il pio e zelante ricostruttore della Provincia Romana. I Somaschi, preceduti dal P. Paltrinieri in Velletri, con ammirazio­ne di tutti perchè era il primo religioso che ne dava l’esempio, l’8 sett. 1814, festa della natività di Maria SS., riassumevano l’abito regolare Somasco, e si davano alla riapertura, per quanto poteva­no delle loro antiche case. In breve tempo riacquistarono S. Nicola e il Clementino a Roma, la Parrocchia di Velletri, poi in seguito l’orfanotrofio di Macerata. Dopo alcune pratiche svoltesi tra il P. Paltrinieri e il P. Carlo Ferreri Proc. Gen. da una parte e il Vescovo di Amelia Mons. Fortunato Pinchetti dall’altra, stipulavano la transazione in Roma con documento notarile, sanzionato dal Papa Pio VII, e il P. Filippo Rossi nell’ottobre 1815 riprendeva possesso del Collegio e della Chiesa e dei possedimenti della casa con obbligo di soddisfare ai legati del Boccarini. L’ingresso dei Somaschi avvenne il 29 giu­gno 1816 e il 12 nov. seguente si diede principio alle scuole con una nuova famiglia religiosa. Furono rimesse in onore le pratiche di culto della Chiesa, in uso prima della soppressione, come la fun­zione alla IV domenica di ogni mese in onore degli Angeli Custodi, la novena di Natale, quella di S. Girolamo, e le feste di S. Michele Arcangelo e di S. Nicola da Bari con le solite accademie letterarie. I Superiori vigilavano con zelo per il rifiorimento dell’antico col­legio, verso cui la Congregazione nutriva, sopratutto dopo le sop­pressioni, una particolare predilezione. Nel sett. 1817 il Rev. P. Filippo Rossi, ex Generale, visitò le scuole, a nome del Vic. Gen. P. Paltrinieri, interrogò ad uno ad uno gli alunni, alla presenza dei Magistrati della città, dei rappresentanti della Deputazione ec­clesiastica ancora vigente, e constatò “il profitto degli scolari”. Po­chi giorni dopo lo stesso P. Paltrinieri vi compiva la visita canoni­ca, richiamandovi in onore, con opportuni decreti, alcune disposi­zioni particolari del Collegio, stabilite nei secoli antecedenti, e in più emanava questa disposizione: “Dovendo parimenti starci a cuore il profitto dei giovani, che intervengono alle nostre scuole, si giudica opportuno che qualcuno sia incaricato dell’Ufficio di Prefetto degli Studi. Se non vi sarà soggetto a parte pel detto Uf­ficio, s’intende questo appoggiato al primo maestro, ossia a quello che farà la scuola maggiore. Sarà sua ispezione l’invigilare perchè si mantenga la debita disciplina nelle scuole, ed animare i rispet­tivi scolari all’esemplarità e profitto; al qual fine sarà bene che una volta al mese alla sua presenza si faccia un breve esame, e po­scia una composizione da rivedersi in tale occasione, e le oppor­tune interrogazioni sulle materie insegnate, si facciano le dignità della scuola, onde avere così nei giovanetti l’emulazione. Servirà questo ancora perchè a poco a poco si dispongano essi ad un saggio letterario da darsi alla fine dell’anno, secondo l’impegno che ne fu assunto nel riaprimento di queste scuole”. Queste disposizioni sta­bilite dal Superiore Maggiore, conforme allo spirito di quelle che vigevano al Clementino, seguivano le tradizioni del nostro Ordine e sviluppavano e applicavano alcuni punti stabiliti nelle nostre Costituzioni. I1 documento è importante per una storia della scuola presso i Somaschi all’inizio del secolo scorso. ATTIVITA’. INTERESSANTE DOCUMENTO La visita del P. Generale aveva anche portato a termine una questione di ordine finanziario, già posta dai nostri Padri fin dal loro reingresso ad Amelia: cioè l’aumento di scudi 100 ai 150 che la città doveva pagare annualmente per le pubbliche scuole. La vi­ta degli insegnanti nell’istituto e il buon ordine scolastico incomin­ciarono subito a far sentire i loro benefici frutti. Alla conclusione dello stesso anno scolastico, il 4 sett. 1820 si tenne un solenne sag­gio letterario dato dagli alunni delle pubbliche scuole, sotto la gui­da del Rettore P. Mariano Palmieri, che era anche maestro di Re­torica : “Coll’intervento dell’Ecc. Magistrato, di vari Signori Ca­nonici e quasi di tutta la nobiltà di questa città, questa mattina circa le ore 14 questi nostri scolari hanno dato pubblico saggio dei loro studi di tutto l’anno: l’approvazione è stata generale, e tutti gli scolari, non eccettuato alcuno, hanno riportato lode ed applau­so e molto sono stati considerati i rispettivi maestri. Il Sign. Fi­lippo Assettati, nostro convittore, come primo della scuola di Re­torica, ha recitato una prefazione, nella quale si è fatto aperta­mente conoscere di quanta necessità sia lo studio e di quanto odio sia l’ozio; siccome padre di tutti i vizi. Gli scolari della prima scuo­la hanno recitato alcune composizioni poetiche, che furono oltre­modo gradite”. All’inizio dell’anno scolastico 1820 il Gonfaloniere della Città di Amelia, Federico Venturelli (già nostro alunno) d’accordo col Rettore P. Palmìeri, emanava il seguente regolamen­to per le nostre scuole : “non hanno mancato li nostri maggiori di fissare e stabilire dei metodi e delle discipline per il buon an­damento delle pubbliche scuole di questa città, dirette dai RR. Pa­dri della Congregazione Somasca. Trovansi esse infatti redatte nei pubblici libri esistenti in quest’archivio communitativo, e se ne osserva il contenuto tanto in riguardo all’orario d’ingresso, quanto alla durata delle lezioni, e quant’anche alle lezioni. Non è in esse trasandato qualche atto di pietà e di religione, che deve essere a cuore principalmente da chi deve vegliare alla buona educazione della gioventù, ed anche più della istruzione od insegnamento delle scienze, perchè non si può essere buon cittadino ed utile alla socie­tà, se non si è buon cristiano e fedele osservatore delli Santi Precetti di Dio e della Chiesa, ma un sistema uniforme alle altre scuole non è in pratica e non è istituita penale contro chi non l’os­serva. Niente pertanto volendo ommettere per nostra parte che ten­da al vantaggio e bene temporale e spirituale della gioventù, sopra della quale la più rigida vigilanza è appena sufficiente nei tempi presenti, ci siamo determinati di prescrivere quanto segue in ag­giunta dei presenti regolamenti che vogliamo abbiano da osser­varsi al pari delle presenti prescrizioni: 1) in tutte le domeniche dovranno li scolari intervenire alla Congregazione, che si fa nelle scuole e recitare quelle sacre orazioni che vengono ordinate dal P. Superiore del V. Collegio di S. Michele Arcangelo di questa città. 2) Dovranno gli scolari munirsi in ogni mese delli Sacramenti del­la Penitenza ed Eucaristia secondo la loro età e far costare al P. Superiore di aver ciò adempito. 3) Dovranno assistere alli Santi Esercizi che si daranno nella Chiesa del Ven. suddetto Collegio per tre giorni continui in quell’epoca che verrà determinata col consenso del lodato P. Superiore. 4) Lasciando eglino la frequenza di questi atti religiosi, potrà il P. Superiore dare loro quelle pene e casti­ghi che meritano se non accedessero continuamente alla scuola, come potrà escluderli e cacciarli dalla scuola se per tre volte con­secutive non adempiano a quelle pie obbligazioni. Dato in Amelia dalla Residenza li 31 ottobre 1820”. Il presente documento è di capitale importanza per la storia della nostra scuola. Siamo nell’epoca immediatanmente post-napoleonica, e quantunque, caduto l’imperatore francese, al tavolo della Santa Al­leanza si fosse stipulato il ritorno allo Statu quo, qualcosa delle innovazioni e dello spirito napoleonico era rimasto nell’animo dei popoli già da lui per breve tempo dominati. Uno di queste conseguenze fu lo spirito laicista e statolatra, nelle sue prime ma­nifestazioni, inteso a far sì che lo Stato dovesse non solo esporre il proprio parere, ma anche portare la sua influenza anche decisiva in ogni sfera della vita cittadina. Perfino in quelle più delicate. Una delle prime ad essere invasa fu la scuola e l’educazione; ma già l’impero austriaco di Maria Teresa e di Giuseppe II, e la Repub­blica di Venezia nella seconda metà del secolo precedente avevano portato ad esse, sebbene sotto l’influsso di altri principi, dei col­pi mortali. Ecco allora lo Stato e le autorità governative interve­nire a imporre, approvare, promulgare riforme scolastiche, pro­grammi, corsi e materie di studio, il che sembrava aver per primo scopo quello di formare l’uomo colto (più o meno) standardizzato e approvato dallo stato. Felici gli stati, nei quali il rappresentante del potere si uniformava a sentimenti cristiani, come accadde nel Regno di Piemonte, in cui il restaurato Re Vitt. Em. I fra l’altro ordinò norme per l’Università di Genova analoghe a quelle che qui ad Amelia vediamo promulgare, in senso religioso, dal Gonfa­loniere della Città, e che chiamò i Somaschi alla direzione del Col­legio Reale di Genova e degli studi in esso organizzati con un pro­gramma, redatto dai PP. Somaschi, che i nostri Prepositi Generali imposero agli altri nostri Collegi del Regno Piemontese. Ad Ame­lia fu fortuna che il prestigio di cui personalmente godeva il P. Palmieri influenzasse il nuovo ordinamento; anche la buona tra­dizione e il ricordo lasciato dai Somaschi nei secoli precedenti con­tribuirono a far sì che i nuovi ordinamenti scolastici si ispirassero fondamentalmente ai sani principi del perenne magistero cristia­no. Significativo è il primo punto confermato nel Regolamento del 1820, in cui è conservata la “Congregazione” domenicale. In ogni Collegio Somasco dal 1500 in poi si istituirono le Congregazioni mariane, alle quali si iscrivevano gli alunni interni ed esterni, e là dove, come ad Amelia, c’erano scuole pubbliche per alcuni non convittori, questi erano obbligati a frequentare i pii esercizi della Congregazione domenicale: Messa, spiegazione del Vangelo, recita dell’Ufficio della Madonna. Gli esercizi spirituali annuali erano tenuti dai Padrí e dagli alunni insieme nella Novena del S. Natale: nella Costituzione del 1820 il numero dei giorni per gli esercizi è ridotto da 8 a 3; i Padri avranno provveduto per sé differente­mente. Il 25 ott. 1821 il Gonfaloniere di Amelia Ferrattini pubblica­va un nuovo Regolamento, concepito sugli accordi degli anni pre­cedenti, con la nota delle vacanze per le Pubbliche Scuole di Amelia. E’ un ordinamento di carattere puramente amministrativo: di particolare vi si nota l’obbligo per gli alunni di partecipare alla predica nei venerdì di marzo; la scuola abbreviata alla sera del sabato per portarsi in Chiesa alla recita delle Litanie (v. Costi­tuzioni nostre); e un lungo elenco di giorni di vacanza. La scuola però durava 10 mesi all’anno. PRIME DIFFICOLTA’ LAICISTE La scuola continuava bene: si tenevano le solite Accademie, e la Comunità Somasca era composta di ottimi Religiosi. Un piccolo incidente di carattere finanziario successe nel 1822, quando alle insistenze del Rettore P. Palmieri perchè il Municipio desse corso all’aumento di 100 ducati, il Gonfaloniere Ferrattini, rispose che la faccenda era ancora in discussione presso i Consiglieri, che non erano ancora al corrente della questione, “tanto più che trattasi di cosa di sommo iuteresse, e in un paese ove la pubblica istruzio­ne è molto languente”. Impressionato da questa frase, per non dire adontato, P. Palmieri scrisse al Gonfaloniere, pregandolo: “a vo­lersi degnare di darne uno schiarimento in iscritto per serbare intatto il buon nome di questo Collegio, che molto mi sta a cuore. Persuaso intanto che una tale lanquidezza non tragga da noi, ma bensì da altri mezzi estranei, ho il piacere di protestarle la mia servitù”. Se dobbiamo credere alla sincerità del Gonfaloniere, e non vedere invece nella accennata frase della lettera precedente un pretesto per non dar luogo all’erogazione dei 100 ducati, la spie­gazione fu la seguente: “Mancano in questa città, se noti le prin­cipali, almeno le più interessanti scuole per l’istruzione della gio­ventù. Il Seminario non è in quel lustro dei trascorsi anni. Tutto pertanto parmi, che porti a conchiudere, che non fiorisca altrimen­ti l’istruzione pubblica. E” in questo senso che devo replicare al foglio di V. S. Ill”. La risposta del Gonfaloniere sembra un po’ e­vasiva; certo non t’u un tratto di buona politica, sopralutto in un documento ufficiale, quasi per scusare una parte, accusarne un’altra.. La questione f’u deferita al P. Gen. Paltrinieri, il quale velluto in Amelia il 18 ottobre 1822 riuscì “a stipulare una carta di coli­ciliazione per queste scuole”. Ma la questione era molto più com­plessa: si trattava infatti non solo di ottenere da parte del Comu­ne la continuazione dell’erogazione dei 100 ducati suppletivi, come già era stato stabilito per un triennio nel 1816, ma di regolare tutti i rapporti fra le scuole dirette dai Somaschi e il Comune stes­so. Questi infatti, secondo i principi esposti più sopra, pretendeva di esigere che si aumentasse il numero dei maestri da 3 a 4 senza aumento di corresponsione e sopratutto pretendeva imporre ” una deputazione di pubblica istruzione, la quale prenda parte della ido­neità ed abilità dei Maestri, dei metodi di insegnamento, dei pro­gressi degli allievi”. In modo particolare voleva attribuire a questa deputazione la facoltà “di regolare il modo di tenere le scuole, gli studi da insegnare, i libri da leggersi, i saggi da darsi pubblicamen­te dagli allievi”. Erano i principii del laicismo e dell’invadenza politica in materia scolastica, che poi si affermeranno trionfal­mente nel Risorgimento laico dell’Italia. Eppure ad Amelia si era in una città pontificia! I Somaschi sottoposero la questione a un giurista, il quale emise la sua sentenza, in via privata, favorevole ai Somaschi. Ma ormai i rapporti erano tesi. Se ne constatarono subito gli effetti. Nell’ottobre 182’2 i Somaschi si videro costretti a chiudere il convitto perché le rendite erano insufficienti a mante­nere il numero prescritto di convittori, e continuarono solo a te­nere le scuole pubbliche, ma tosto lo riaprirono sia pure con un numero ridotto di educandi. L’anno seguente la questione si riac­cese più viva che mai. Nel Consiglio della città si stabilì di portare la sovvenzione ai Somaschi a ducati 300 però con l’obbligo di te­nere 4 maestri, invece che tre; ma P. Palmieri non accettò, e in­sistette per fare accettare prima il punto già sostenuto in antece­denza, della sovvenzione di ducati 25O con l’obbligo di 3 maestri, come era stato fissato nel concordato del 1816, il che la Comunità di Amelia non volle accettare . P. Palmieri vide nel rifiuto opposto­gli dalla città una aperta persecuzione mossa dal consiglio muni­cipale contro i Somaschi; ne scrisse al P. Francesco Gallo Proc. Gen. dei Somaschi denunciando apertamente le mosse degli ” A­merini, che non vogliono più li Somaschi per la pubblica istru­zione… La Comunità in oggi fa di tutto perchè volontariamen­te rinunciamo queste scuole”. perché “con questa comunità non v’è più che sperare nè con trattative nè con mediazioni “. Le me­diazioni erano state cercate dai Somaschi, nell’opera del Card. Testaferrata, alunno del Clementino, ma non ebbero purtroppo alcun effetto, “ed ora per ottenere il nostro intento sarebbe bene che V. P. Rev., continua la lettera di P. Palmieri al P. Gallo, confidasse questo affare all’Em. Pacca, affinchè si ponesse non mediatore con questa Comunità, ma presso il S. Padre”, affinchè Lui stesso “prendesse in considerazione le nostre ragioni e li no­stri diritti, per farli valere con la di Lui autorità”! Il pensiero di P. Palmieri era di farla finita subito, ritirare i Somaschi dalle scuole, o almeno sopprimere un maestro, quello di Retorica; ma il P. Generale non fu dell’avviso, e ordinò che si continuassero le scuole, il che P. Palmieri fece, scrisse però al Gonfaloniere Federi­co Venturelli, protestando che la continuazione delle scuole non implicava l’accettazione da parte dei PP. Somaschi dello stato di fatto. Però la schermaglia si conduceva in modis et formis con me­todo diplomatico: per il saggio finale dell’anno scolastico 1829 si stabilì di tenere l’Accademia non in forma pubblica, ma privata; il Gonfaloniere era così tacitamente non invitato a presenziare, ma dal canto suo non poteva ignorare che il Saggio, secondo i Regolamenti, si teneva realmente; tanto più che intervenendovi le altre autorità cittadine, non vi poteva mancare il Governatore della Città e il Consigliere deputato alle scuole di modo che lo stesso Gonfalo­niere fu costretto a dirigere a P. Palmieri la seguente lettera per mezzo del Segretario: “il sottoscritto nel dichiararsi dev. obb. servi­tore del Rev. Proposito le fa conoscere che il Sign. Gonfaloniere con­viene nel progetto del Saggio privato al finire dell’anno scolastico che decorre e lascia alla libertà del P. Superiore di ordinare per conto della Comunità quelli premi che crederà convenienti a distri­buirsi”. Intanto la questione portata al S. Padre, veniva finalmen­te decisa in nostro favore con un decreto della S. Congregazione del B. Governo ìn data 12 marzo 1S25: “ad aliud triennium pro continuatione: in reliquis data de necessitate quarti professoris, providebitu. ” ALTRI CONTRASTI Poi è il ceto ecclesiastico che manifesta “la conraddizione che à verso di noi”; nel Saggio letterario del 20 sett. 1827 non intervenne neppure un canonico “benchè con la dovuta convenien­za fosse stato invitato tutto il Capitolo della Cattedrale”, come ne­gli anni passati. Nel medesimo giorno veniva chiuso il Convitto e venivano rimandati i convittori a casa per non fare più ritorno “perchè il Convitto di questo nostro Collegio era più di agravio che di utile”. Nel corso dell’anno scolastico 1826 si riaccese più viva che mai la questione del sussidio da erogarsi dal Comune per le scuole. Infatti il 13 marzo 1828 il pubblico Consiglio “escluse l’aumento dei 100 ducati dato per undici anni perché si tenessero tre distinti maestri” sostenendo che questa’ erogazione era stata autorizzata solo per un triennio. P. Palmieri allora deferì la cosa al Prov. P. Parchetti, il quale dispose che fosse avvertito il Gonfaloniere “che immedia­tamente dopo Pasqua cessino le lezioni della terza scuola (Retorica) superiore, e che per benevolenza si tengano i due maestri senza pregiudicare al diritto che abbiamo di ridurli ad uno solo”. Ci­tato dal P. Palmieri a comparire davanti al Vicario Capitolare di Amelia per sostenere i diritti dei Somaschi, non volle acconsen­tire, preferendo attendere la decisione legale affidata allo studio dell’Avv. Domenico Montanari. Intanto i Somaschi in quello che loro era possibile e non tornasse di aggravio “amore loti et intuitu pietatis” accondiscendevano ad ammettere alla Congregazione fe­stiva “nella quale dopo la recita dell’Ufficio di Maria SS. si spiega l’Evangelo e con questo si imbevano gli scolari della Dottrina e del­le massime proprie del vero cristiano”, e alla pia pratica del saba­to, anche gli scolari di filosofia, che erano istruiti sotto la cura di un certo P. Lettore Vivarelli, filosofo francescano, il quale però non voleva accondiscendere alla richiesta del Consiglio del comune di tenere per essi anche la Congregazione; onde ne furono pregati i Somaschi. Accondiscesero questi ma ponendo la riserva che non essendone obbligati per statuto di fondazione, lo avrebbero tatto per un puro atto di benevolenza e senza indurre alcuna obbligazione. Il Vescovo di Amelia, pregato dal P. I’altrinieri, Vic. Gen. e suo antico a dire una parola per cercare di conciliare le gravi questioni sorte antecedentemente in re oeconomica si schermiva dolcemente, scrivendogli il 9 ott. 1828: ‘Ho provato vero dispiacere che non siasi combinato l’affare e le note vertenze con questa comunità. Ora però sono nell’indifferenza, come le scrissi; perché a me non par che convenga di prendere parte attiva per veruna delle parti”. Supera­to questo nuovo incidente (il Gonfaloniere ebbe nulla da riscrivere all’osservazioni del P. Palmieri), il 9 agosto 1828 venne la risposta in merito all’emolumento per le scuole con decreto emanato dalla Segnatura “a cui dalla Comunità di Amelia si era portata la que­stione per far decidere il Tribunale competente”, in questa forma: “ex integro, et amplius”. L’11 dic. 1829 venne la sentenza defini­tiva espressa in chiari termini: pagare 250 ducati e i Somaschi te­nere 2 scuole”. P. Palmieri aveva vinto. Nel nov. 1829 il Prep. Gen. P. Clemente Briguardelli compiva la visita canonica alla casa: “per ciò che riguarda la regolare osservanza, abbiamo motivo di consolarci nel sentire che essa si mantiene in questo Collegio: e non facciamo che raccomandare alla vigilanza del degnissimo Padre Preposito la conservazione della disciplina, esortando poi vivamen­te i PP. Maestri, dei quali lodiamo l’esemplare e religiosa condotta, ad attendere con la massima diligenza, premura e assiduità al­l’istruzione dei giovanetti in queste pubbliche scuole a noi affidate”. ULTIMI COLPI Ma la Comunità di Amelia non si acquietò al rescritto di Ro­ma. Il Preposito P. Gaetano Oltremari, aveva optato per le due scuole solamente in base all’emolumento di duc. 150; ma tosto il Consiglio della città, sempre sobillato dal Segretario a noi avverso, ricorse in appello, per cui la lite proseguì. Le mene subdole degli avversari dei Somaschi in Amelia ogni tanto si manifestavano sotto varie forme: nel 1831, all’inizio del nuovo anno scolastico, due individui, di cui si tace il nome, andaro­no propalando per la città che i Somaschi erano caduti in disgrazia del S. Padre e dovevano essere scacciati in breve tempo dall’Orfano­trofio di S. Maria in Aquiro di Roma. Il P. Morelli Prep. Gen. in atto di visita credette bene di annotare: “era questa una trama di malevoli, che aspiravano a soppiantarci per subentrare essi me­desimi al governo di quella casa; ma grazie a Dio ne siamo usciti trionfanti”. Riguardo alle scuole il P. Generale Morelli nell’otto­bre 1832 convenne col Gonfaloniere Venturelli “che si continui­no per questo anno con due maestri”. L’anno 1833 segnò la fine delle nostre scuole in Amelia. La determinazione fu presa dal Def. Gen. Nel mese di giugno venne ad Amelia il P. Gaetano Oltremari incaricato di presentare la rinuncia al Consiglio della città, accom­pagnata da una lettera del P. Gen. Morelli, nella quale si esponeva come la Congregazione “non poteva con 300 scudi fornire questo Comune di quattro maestri e tutta filosofia”. Il Consiglio, ricevuto l’ordine dal Governatore della città di accedere a nuove conven­zioni, offerse scudi 450 per quattro maestri; ma il P. Gen. credette bene non fidarsi di convenzioni precarie, affidate all’instabili­tà dell’esecuzione di un variabile consiglio comunale, e insistette nella rinuncia per la fine dell’anno scolastico. Merita di essere co­nosciuto il contenuto della lettera inviata dalla Delegazione di Spo­leto alla Magistratura di Amelia in favore dei Somaschi, e a questi fatta conoscere dalla compiacenza del Governatore, cioè di entrare, per le pubbliche scuole, in nuove trattative colla nostra Congre­gazione “affermando esser dessa più al caso di ben istruire la gioventù sì nella pietà che nelle scienze, di quello che il potessero essere maestri secolari, oppure altre Congregazioni”. I1 29 sett. 1833 i Somaschi terminarono di dirigere le pubbliche scuole di A­melia, e ne mandarono le chiavi al comune. Ho esposto storicamente la questione; ora mi preme far risal­tare la fondatezza dei Somaschi nel sostenere le loro pretensioni, e ne ricavo gli argomenti dai documenti. Perché i Somaschi do­mandavano corresponsione da parte della città di almeno ducati 250? Fin dal 1601 i Somaschi ebbero 500 ducati, e cioè 150 dal Co­mune e 350 da privati. Cessato queste prestazioni private, suben­trò il legato Boccarini, dal quale, benchè non istituito per le scuole, ma per mantenere dieci allievi come convittori, si può facilmente vedere che si poteva facilmente ricavare non solo il mantenimento degli allievi, ma anche degli educatori, ed ecco che per necessaria conseguenza si potevano tenere più maestri, che se poi per maggior numero di scolari lo zelo degli educatori portò a dividerli in più classi, e per conseguenza ad adibire più maestri, non per questo i Somaschi si dovevano credere obbligati a tenerli quando non ci fosse più di che poterli mantenere. Tanto è vero che passato nella soppressione del 1810 il Legato Boccarini al Seminario Vescovile, i Somaschi nel 1816 protestarono subito che non avrebbero mai ripreso le scuole, se non con l’accrescere loro lo stipendio a ducati 350. Come infatti accettò il Magistrato di quel tempo per un trien­nio, che poi fu prolungato fino al maggio 1828. Onde si deve conclu­dere che la lotta contro i Somaschi sulla pretesa di 3 maestri per ducati 150 fu ingiustissima. Né si poteva pretendere che i Soma­schi si assumessero il peso di tenere tutte le scuole “inclusa la Reto­rica e la Filosofia” con 3 maestri portando lo stipendio a ducati 300; “vorrebbero gli Amerini aprirsi un liceo perfetto col denaro dei Somaschi. Dio volesse! che fossero tanto in forze da poter spende­re i loro favori sopra il bene pubblico non solo d’Amelia, ma di tut­to lo Stato. La nostra Congregazione è povera, come ognuno lo sa: ed ogni Collegio o casa bisognosa che pensi a far fuoco con le sue legna. Tutte le case nostre hanno i suoi pesi ed aggravi, e la giustizia non vuole, che si tolgano ad una per soccorrere un’altra ancorchè fosse più bisognosa”. Così si legge in una supplica indi­rizzata dalla Congregazione al Governo Pontificio. Chiuse le scuole per i Somaschi in Amelia, questi continuarono ad officiare la chiesa. Alla custodia e all’amministrazione della casa fu lasciato il P. Gaetano Oltremari, il quale il 25 nov. 1837 fu trovato… assassinato. La missione dei Somaschi ad Amelia era finita. In breve si venne alla determinazione di abbandonare definitivamente la città, il che fu fatto nel novembre 1839 per disposizione del Cap. Provinciale Romano. Il 5 nov. 1839 nella residenza Vescovile fu stipulato l’istrumento della restituzionec di S. Angelo coti tutti i suoi beni e proventi, al Vescovo, e imme­diatamente i Somaschi partirono. Ma non senza aver prima tentato e discussi col Vescovo stesso vari progetti per continuare la loro missione nella città, “ma non si sono potute appianare varie dif­ficoltà insorte “. Il principale progetto escogitato fu quello di apri­re un orfanotrofio, e già si stava per redigerne il programma il 13 aprile 1834. Agli Amerini tornò presto la voglia di riavere i Somaschi. Il 17 luglio 1834 scrivevano al P. Provinciale, esprimen­dogli l’unanimità dei voti del Consiglio per il richiamo dei Soma­schi, ” non esservi stato alcun voto in contrario fa molto onore alla Congregazione, e dimostra chiaramente che neì petti degli Amerini si conserva affetto ai Somaschi, che per 300 e più (sic!) anni tanto lodevolmente hanno educata l’Amerina gioventù. A tale risoluzione presa dal Consiglio ogni classe di persone ha fatto eco, ed ansiosamente ne brama il sollecito ritorno, ed un vero entusia­smo è in tutti i buoni. E’ vero che nello scorso anno dal Munici­pio se ne fece istanza a questo Mons. Vescovo e che per qualche difficoltà che s’incontrò, si desistette, ma ora che vi è pubblico vo­to generale, non so come si potranno affaciare delle obiezioni, e spero che giungerassi al desiderato intento “. Una. commissione era stata nominata a trattare coi Somaschi; ma non si concluse nulla. Le istanze si rinnovarono nel 1928 in occasione che si cele­brava il IV Centenario della fondazione dell’Ordine Somasco. Il Comm. Raibandi, Podestà di Amelia, offerse al Rev. P. Zamba­relli Prop. Gen. di assumere la direzione del Convitto Boccarini, che ha sede nell’ex convento di S. Francesco. Patrocinatore dei Somaschi era in Amelia il Priore Sac. Angelo di Tommaso, il quale aveva proposto al P. Generale vari mezzi per venire incontro alla scarsità di personale, che costituiva il principale impedimento da parte nostra ner assumere la direzione di quel Convitto. Già si era steso uno schema di convenzione per la gestione del Collegio Convitto, con condizioni abbastanza vantaggiose per i Somaschi. Cessato di carica il Comm. Raibandi, il suo successore Varasi Gino, ne riprese le trattative “allo scopo di concludere, perchè ben cono­scendone il valore morale e culturale, sarei ben lieto di affidare all’ordine dei PP. Somaschi il Collegio Boccarini ed eventualmente anche l’insegnamento per le scuole medie comunali “. ********* A conclusione di questi cenni, riporto alcuni documenti di significativa importanza: 1) ISTITUZIONE DELLA CONGREGAZIONE MARIANA (dal libro degli Atti) addì 29 marzo 1760: ” Avendo fatta la visi­ta di questo Collegio in cui vi è l’obbligo delle pubbliche scuole, e vedendo che non vi è la santa costumanza, che osservasi in tutti i nostri collegi anche di scuole pubbliche, di fare nei dì festivi la Congregazione per introdurre negli scolari alla nostra cura com­messi il santo Timor di Dio, ordino che questa indispensabilmente debba farsi, e abbiansi ad obbligare gli scolari ad intervenire. Che però tutte le domeniche e tutte le feste della B. Vergine do­vranno adunarsi i scolari in luogo da destinarsi dal Superiore, e avrà a recitarsi l’ufficio della B. Vergine e dovrà dal Padre desti­nato a fare la Congregazione esortarsi la gioventù con un discorso alla di lei intelligenza accomodato alla pietà, insinuando le maniere a quella più acconcie. Dovranno indi tutti gli scolari portarsi in chiesa ad udire la S. Messa; e una volta al mese, e nelle feste prin­cipali dovrà esservi la Comunione Generale; e insinuando la osser­vanza di quanto prescrivo a maggior gloria di Dio e per adempi­mento del nostro dovere mi soscrivo D. Francesco Manara Proc. Gen. e Vis. Del. ” 2) ISTITUZIONE DELLA FESTA DEL S. CUORE (dal libro degli atti) addì 6 dicembre 1760: ” Nella prima dome­nica di Avvento si diede principio in questa nostra chiesa con uno straordinario concorso di gente nobile e plebea ad una divoziose in onore del S. Cuore di Gesù; divozione accettissima a tutto que­sto popolo consistente in alcuni colloqui ed altre brevi orazioni; in un breve discorso con la Benedizione in fine del Santo Sacra­mento. Questa divozione è stata introdotta non tanto per tener occupati santamente i nostri religiosi nei dì festivi, quanto per se­condar in qualche modo le mire del Rev.mo P. nostro Generale, il quale promise in occasione della passata visita all’Ill.mo Magi­strato e ad altri Signori che in persona lo visitarono, che sarebbe stata sua cura di far sì che nella nostra chiesa affatto abbando­nata si facesse un pò di bene… Si spera che questa opera sarà da Iddio tanto felicitata che non mancherà Egli di piovere sopra questo collegio, e sopra il suddetto P. Preposito (Valentino Campi) che si può chiamare autore di ciò, le sue celesti Benedizioni “. 3) ESEMPIO DI ACCADEMIA SCOLASTICA (dal libro degli Atti) ” Addì 29 settembre 1783: (Sembrerebbe inutile di fare un paragrafo distinto della recita dell’accademia, che oggi si è tenuta in questa nostra chiesa, se la maggior magni­ficenza con cui si è tenuta nell’anno presente non richiedesse di essere descritta a parte a parte. Il P. D. Giuseppe Bausseri, vigi­lantissimo Preposito di questo collegio attesa la decadenza a cui da qualche anno sembravano ridotte queste pubbliche scuole, ed attese le doglianze, che perciò si facevano della maggior parte di questi cittadini, avendo piacere di riporre le cose in uno stato plausibile con il buon regolamento delle medesime, ordinó che durante un previo esame fatto a ciaschedun scolaro della rettorica si dovesse formalmente eleggere il Principe dell’Accademia; e quello che verrebbe giudicato tale dovesse essere soggetto a quelle prove (qualora fosse in istato) che si sarebbero fatte in tale occa­sione. Tutto appunto è stato eseguito, e meritamente si è eletto Principe il Sign. Francesco Cinti, giovane di ottima aspettazione, e che potrà col maturarsi degli anni far forse rivivere le glorie di questa antichissima sua patria. Ha egli accettato qualunque sborso di denaro per tale funzione, e con questo mezzo si è fatto innalzare in questa nostra chiesa alcuni palmi da terra un palco nella cappella detta di S. Anna; ed addobbata nel miglior modo, che ha permesso la meschinità del paese. Essendo l’accademia de­dicata a questo Monsignor Vescovo Francesco Angelo lacoboni, per maggior decoro, e compimento della funzione, in alcuni fogli si è stampato il sonetto di dedica, e l’elenco di tutte le composizioni, che sono state in numero di 16. Nell’atto de la recita dei componi­menti si sono fatte intercalatamente alcune sinfonie dai diversi sonatori forestieri a tale effetto specialmente invitati per non in­fastidire gli uditori con la troppa lunga uniformità delle cose. L’anzidetto Mons. Vescovo accompagnato da due Sign. Canonici, come pure i SS. Anziani della città con tutto il loro seguito, oltre l’usato l’hanno onorata colla loro presenza, portandosi ad udirla in abito di comparsa. Lo stesso avrebbero fatto tutti li Signori Canonici, se non fosse insorta una lite fra di essi, ed i profani SS. Anziani circa la preminenza del luogo ove sedere in chiesa. La novità del fatto ha commossa la curiosità di ogni ceto di persone, che in numerosa folla sono accorse ad udirla, e l’hanno generalmente degnata della loro approvazione e compiacimento”. P.D. Marco Tentorio c.r.s. ELENCO DEI RETTORI DEL COLLEGIO DI AMELIA 1601 P. Ferrari Ambrogio 1601 1606 P. Cimarelli Alessandro 1606 P. Basso Giuseppe 1606 1608 P. Ferrari Ambrogio 1608 ? P. Porto Luigi ? 1615 P. Ferrari Ambrogio 1615 1627 P. Brusco Giacomo 1627 1630 P. De Rossi Costantino 1630 1631 P. Brusco Giacomo 1631 1632 P. De Rossi Costantino 1633 P. Brusco Giacomo 1633 1635 P. Petrignani Ferdinando 1633 1635 P. Margano Pietro 1642 P. Palino 1642 1646 P. Margano Pietro 1646 1654 P. Orsino Ludovico 1654 P. Natta Carlo 1651 1655 P. Millesio Girolamo 1655 1656 P. Canauli Carlo 1156 1661 P. Battilana Daniele 1661 1662 P. Borsa Carlo 1662 1665 P. Margano Pietro 1665 1668 P. Malfanti Francesco 1668 1672 P. Bonelli Bartolomeo 1672 1675 P. Burlo Camillo 1675 1678 P. Millini Massimiliano 1678 1681 P. Bonelli Bartolomeo 1681 1684 P. Millesio Gio. Girolamo 1684 1685 P. Burlo Camillo 1685 1686 P. Millesio Gio. Girolamo 1686 1689 P. Battilana Daniele 1689 1691 P. Bonelli Bartolomeo 1691 1695 P. Zeloni Francesco 1695 1698 P. D’Aste Gregorio 1698 1701 P. Salvi Girolamo 1701 1703 P. Verità Domenico 1703 1707 P. Folfi Cristoforo 1707 1710 P. Centurione Angelo 1710 1711 P. Folfi Crist. 1715 1717 P. Mantica Giacinto 1717 1723 P. Grossi Angelo 1723 1726 P. Gastaldi Carlo 1726 1729 P. Petrucci 1729 1730 P. Savini Francesco 1730 1733 P. Studiosi Raimondo 1733 1736 P. Rondaniui Nicola 1736 1738 P. Cevasco G. B. 1738 1739 P. Rossi Arcangelo 1739 1741 P. Melelella Alfonso 1741 1745 P. Studiosi Raimondo 1745 1748 P. Sauli Filippo 1748 1751 P. Giustiuiani Lorenzo 17 51 1754 P. Studiosi Raimondo 1754 1757 P. Consalvi Ludovico 1757 1760 P. Melelella Alfonso 1760 1762 P. Campi Domenico 1762 P. Nicolai F’raucesco 1762 1764 P. Pini Domenico 1764 1765 P. Rossi Giuseppe 1765 1769 P. Savageri Giacomo 1769 1772 P. Griseri G. B. 1772 1775 P. Agodi Andrea 1775 1779 P. Lelmi Domenico 1779 1781 P. Bentivoglio Girolamo 1781 1783 P. Rossi Giuseppe 178 1785 P, Bausseri Felice 1785 1788 P. Rossi Andrea 1788 P. Oltremari Gaetano 1788 1790 P. Lattanzi Andrea 1790 1793 P. Agodi Andrea 1793 1801 P. Oltremari Gaetano 1801 1806 P. Rossi Filippo 1806 1810 P. Oltremari Gaetano 1810 1815 soppressione 1815 1818 P. Rossi Filippo 1818 1822 P. Palmieri Mariauo 1822 1823 P. Oltremari Gaetano 1823 1828 P. Palmieri Mariano 1828 P. 0ltremari Gaetano 1828 1829 P. Palmieri Mariano 1829 1830 P. Oltremari Gaetano 1830 1831 P. Palmieri Mariano 1831 P. Petrucci Gaetano 1831 P. Bongiovanni Baldassare 1831 1833 P. Masabò Leonardo 1833 1837 P. Oltremari Gaetano 1837 1838 P. Libois Decio 1838 P. Gallo Giuseppe 1838 1839 P. Palmieri Mariano *************** Questo opuscolo edito dalla Curia Greneraliia dei Padri Somaschi nel 1954 è stato trasformato in Webbook a cura di Giancarlo Guerrini e pubblicato dal Centro di studi storici della Fondazione per il Cammino della Luce per diffondere tra gli Amerini la conoscenza della importante attività svolta dai P. Somaschi per 238 anni (dal 1601 al 1839) ad Amelia nel campo della pubblica istruzione, in precedenza affidata ai Gesuiti e ai Padri della Dottrina Cristiana, nel Collegio e contigua Chiesa di S. Michele Arcangelo. Amelia 6 gennaio 2009